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giovedì 29 gennaio 2015
mercoledì 28 gennaio 2015
martedì 27 gennaio 2015
PROGETTO FOTOGRAFICO
Come è noto trovo insopportabile il termine PROGETTO utillizzato in ambito fotografico.
Io ho avuto un'educazione da progettista, lo sono stato per tanto tempo, so esattamente cosa significa, quello che intendo è che in fotografia la parola progetto è solo una parola che viene usata per riempirsi la bocca, dietro non c'è alcuna sostanza, viene usata come fosse un piano definito, quasi una via maestra da percorrere, sono qua e arriverò là.
La vita stessa è la meravigliosa opportunità che tutti abbiamo, mi piace pensare che la Fotografia la possa cavalcare con leggerezza lasciando un segno, altrettanto leggero, magari effimero, ma comunque un segno.
Questo che segue è il mio intervento conclusivo sulla nota PROGETTO FOTOGRAFICO postata originariamente su facebook, dopo una serie di commenti e di spunti interessanti, lo riporto anche qui.
;-)
Anch'io come Raffaele Bartoli, condivido che il termine idea sia più consono a un qualcosa che si vuole realizzare, per quanto spesso o quasi sempre si tratti per lo più di trovate, come condivido che sia mutabile, plasmabile, dinamica, insomma un divenire.
Provo a immaginare momenti memorabili della storia della fotografia, ad esempio quando Robert Frank vince la borsa di studio della Guggenheim Foundation decide di girare gli Stati Uniti per due anni, assolutamente on the road, in auto ma con la propria famiglia, la moglie e due figli, quello era un progetto?
No, nemmeno lui sapeva che cosa avrebbe fatto, visto e fotografato esattamente, era il modo di un europeo di vedere un mondo nuovo, per molti aspetti di una modernità selvaggia.
Realizza 28.000 scatti per gli 83 selezionati che saranno il corpo di "The Americans", un libro che ha influenzato due generazioni di fotografi, che ovviamente nessuno negli U.S.A. volle pubblicare, perchè faceva vedere solo la faccia più bieca, squallida e deprimente della nazione, oltretutto con un modo che di "bella fotografia" non aveva niente, quindi prima viene pubblicato in Francia e poi solo l'anno successivo negli Stati Uniti.
Poco sopra sono stato volutamente ambiguo, la modernità selvaggia è riferita al paese, la fotografia di Frank è di una modernità rivoluzionaria, Ugo Mulas scrisse questa cosa:
« Nel libro di Frank vedevo ... per la prima volta un fotografo che non utilizzava nessun trucco, che faceva delle fotografie che sembravano di un dilettante, tanto erano semplici tecnicamente.
Ci ho messo alcuni anni a capire ... il senso dell'opera di Frank: questo non abusare per confondere il gioco della realtà, delle cose, della vita; il fatto che la macchina fotografica lavori direttamente sulla vita, usando la pelle della gente »
Pensiamo adesso a "In the American West" di Richard Avedon, altro lavoro colossale, durato anni, anche qui c'è un'idea che però non è così originale, nella sostanza non fa nient'altro che fare ciò che facevano i fotografi del Far West alla fine dell'ottocento, viaggiare di paese in paese per fotografare delle persone, cambia il mezzo, il camper al posto della carrozza.
Il punto non è la cosa in sè, chiunque poteva avere la stessa idea e metterla in pratica, però lui è Avedon, la differenza è questa, e non credo che abbia mai parlato di progetto.
Ma condivido quello che dice Mauro Ruscelli, " Il "progetto" è una parola che piace tanto. Per molti fotografi è un ripetere se stessi, non una firma stilistica, ma proprio un ripetersi per cercare di essere riconoscibili, anche molta arte oggi è semplicemente ripetere sempre un unica idea avuta nella vita. Questo perché piace anche ai mercanti d'arte che non devono capire o spiegare".
Certamente e aggiungo io, quando c'è il nulla.
Io ho avuto un'educazione da progettista, lo sono stato per tanto tempo, so esattamente cosa significa, quello che intendo è che in fotografia la parola progetto è solo una parola che viene usata per riempirsi la bocca, dietro non c'è alcuna sostanza, viene usata come fosse un piano definito, quasi una via maestra da percorrere, sono qua e arriverò là.
Non
è così, la progettazione, parafrasando Heidegger è la ricerca ed il
percorrere i sentieri interrotti in un bosco fino a trovare la strada
giusta per tornare a casa, è un processo fatto di tentativi, di
approssimazioni e di fallimenti.
Io sostengo da sempre, che
sia il modo a fare un autore, e che non serva fare manifesti o proclami
di quello che si intende realizzare, si fanno e basta, il modo determina
il progetto ma lo fa con un respiro ampio e con una struttura
articolata, non come un compitino contingente.
La fotografia,
una vera e propria ossessione, è trasversale alla mia vita, mi fa sempre
un po' sorridere il pensare che la maggior parte di quelli che mi
seguono o che mi detestano creda che faccia soltanto foto di nudo e che
mi interessi solo quello, certo amo molto il genere, l'ho sempre amato
ma ne pratico tanti altri, che poi già chiamarli generi li indebolisce,
non sono generi per me, sono opportunità.La vita stessa è la meravigliosa opportunità che tutti abbiamo, mi piace pensare che la Fotografia la possa cavalcare con leggerezza lasciando un segno, altrettanto leggero, magari effimero, ma comunque un segno.
Questo che segue è il mio intervento conclusivo sulla nota PROGETTO FOTOGRAFICO postata originariamente su facebook, dopo una serie di commenti e di spunti interessanti, lo riporto anche qui.
;-)
Anch'io come Raffaele Bartoli, condivido che il termine idea sia più consono a un qualcosa che si vuole realizzare, per quanto spesso o quasi sempre si tratti per lo più di trovate, come condivido che sia mutabile, plasmabile, dinamica, insomma un divenire.
Provo a immaginare momenti memorabili della storia della fotografia, ad esempio quando Robert Frank vince la borsa di studio della Guggenheim Foundation decide di girare gli Stati Uniti per due anni, assolutamente on the road, in auto ma con la propria famiglia, la moglie e due figli, quello era un progetto?
No, nemmeno lui sapeva che cosa avrebbe fatto, visto e fotografato esattamente, era il modo di un europeo di vedere un mondo nuovo, per molti aspetti di una modernità selvaggia.
Realizza 28.000 scatti per gli 83 selezionati che saranno il corpo di "The Americans", un libro che ha influenzato due generazioni di fotografi, che ovviamente nessuno negli U.S.A. volle pubblicare, perchè faceva vedere solo la faccia più bieca, squallida e deprimente della nazione, oltretutto con un modo che di "bella fotografia" non aveva niente, quindi prima viene pubblicato in Francia e poi solo l'anno successivo negli Stati Uniti.
Poco sopra sono stato volutamente ambiguo, la modernità selvaggia è riferita al paese, la fotografia di Frank è di una modernità rivoluzionaria, Ugo Mulas scrisse questa cosa:
« Nel libro di Frank vedevo ... per la prima volta un fotografo che non utilizzava nessun trucco, che faceva delle fotografie che sembravano di un dilettante, tanto erano semplici tecnicamente.
Ci ho messo alcuni anni a capire ... il senso dell'opera di Frank: questo non abusare per confondere il gioco della realtà, delle cose, della vita; il fatto che la macchina fotografica lavori direttamente sulla vita, usando la pelle della gente »
Pensiamo adesso a "In the American West" di Richard Avedon, altro lavoro colossale, durato anni, anche qui c'è un'idea che però non è così originale, nella sostanza non fa nient'altro che fare ciò che facevano i fotografi del Far West alla fine dell'ottocento, viaggiare di paese in paese per fotografare delle persone, cambia il mezzo, il camper al posto della carrozza.
Il punto non è la cosa in sè, chiunque poteva avere la stessa idea e metterla in pratica, però lui è Avedon, la differenza è questa, e non credo che abbia mai parlato di progetto.
Ma condivido quello che dice Mauro Ruscelli, " Il "progetto" è una parola che piace tanto. Per molti fotografi è un ripetere se stessi, non una firma stilistica, ma proprio un ripetersi per cercare di essere riconoscibili, anche molta arte oggi è semplicemente ripetere sempre un unica idea avuta nella vita. Questo perché piace anche ai mercanti d'arte che non devono capire o spiegare".
Certamente e aggiungo io, quando c'è il nulla.
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